ULTRAMEGASUPERDREAMS

racconto e illustrazioni di Urania Stein

Nei laboratori di ricerca della ULTRAMEGASUPERDREAMS corporation il dottor Makamoto emetteva un rantolo di malcelata insoddisfazione: l’ennesimo fallimento giaceva inerme sul tavolo operatorio con la testolina aperta. Cavi ed elettrodi che ne fuoriuscivano andavano a finire in un piccolo marchingegno che a suo volta li raccordava, collegandoli a un apparecchio elettronico molto più grande pieno di pulsanti e bottoni, e che solitamente produceva una serie nervosa di bip di differente lunghezza e volume. Ma, ora, un perenne segnale acustico urlava a tutti la sconfitta del dottore. La dottoressa Furima guardava il corpicino straziato che cominciava a stiepidire.                                                                                                            “Dottoressa, lei sa quanto io ci tenga al mio lavoro, vero?”. Mentre parlava il dottore staccava i fili dal cervello della scimmietta per poi lanciarne il corpo nel secchio dove il tonfo venne attutito dalla pila di tutti gli scarti organici prodotti solo in quella mattinata. Con un sospiro si lasciava cadere sulla poltroncina bordò. “E sa anche” continuava “che non abbiamo raggiunto i risultati sperati…Come faccio a presentarmi dal presidente Drof, me lo dice?” La dottoressa non rispondeva mentre guardava l’ammasso di corpi che quasi strabordava fuori dal secchio. Poi aprì un cassetto dell’armadio accanto, per tirarne fuori una banana e cominciò a mangiare. Il dottore poi riprese: “non riesco a capire dove sbaglio, dottoressa! Riesco a programmare i sogni di queste scimmie ma quando si svegliano… ZOT gli si frigge il cervello, perché?!” Aveva la testa tra le mani e la scuoteva. “Quando ho iniziato la ricerca, dottoressa si ricorda come ne parlavano in giro? FANTASTICO, DOTTOR MAKAMOTO! Chi altri avrebbe mai pensato che il tempo dei sogni potesse venir sfruttato così? Un genio dicevano. Vuoi andare in ferie sei mesi? Lo programmiamo in sogno e in una notte, oplà! Vuoi uscire la sera e fare nottata: in sogno! Niente più bisogno di tempo libero si lavora nella veglia, il resto lo si fa in sogno! Come si fa a non capire il progresso che una cosa del genere comporterebbe? Quanto tempo risparmiato, quanta felicità guadagnata! Una vera e propria RIVOLUZIONE!”

La porta si aprì d’improvviso ed entrarono con passo pesante e cadenzato il presidente Drof in persona seguito da due bodyguard grossi come armadi. Il presidente si accomodò su una poltrona davanti al dottore. Non degnò minimamente di uno sguardo la dottoressa Furima. I due energumeni restavano in piedi poco dietro.

“Mi giunge notizia che l’esperimento non funziona, dottor Makamoto” esordì. Il dottore sprofondava la faccia tra le braccia per non mostrare il volto stravolto, ma la voce con cui rispose rendeva benissimo la vergogna che provava. “Pensavo, signore, di avere ancora del tempo prima di doverle dare i risultati, almeno un altro paio di settimane, qualche giorno, ecco”. “Dottor Makamoto lei sa le implicazioni che ci sono in questa ricerca da lei ideata certo ma portata avanti con i nostri soldi, e per nostri intendo quelli miei e degli altri investitori… Sono due anni che aspettiamo dei risultati concreti”. In mano teneva una cartellina con dei fogli, evidentemente i risultati delle ultime ricerche, che poggiò sul tavolo tra lui e il dottore.
“Ma sono studi complessi” si difese il dottore “e poi non è vero che non sono riuscito ad avere risultati: riesco a programmare quello che voglio nei sogni di altri esseri viventi, insomma non è da poco io…” “INFATTI, INFATTI” incalzò Drof, “non sono qui per rimproverarla bensì per proporle un nuovo punto di vista… mi ascolti… noi, e con noi intendo io e gli altri investitori, abbiamo pensato di far valutare i suoi risultati anche ad altri team di scienziati, a nostro giudizio, egualmente…
“MA è IMPAZZITO?” Il dottor Makamoto lo interruppe battendo il pugno sul tavolo, tirandosi in avanti e sporgendosi verso il presidente. Le vene del collo pulsavano ed era tutto rosso in faccia “sono studi sperimentali estremamente delicati e soprattutto preziosi, come le è venuto in mente io da…” venne però bloccato e rimesso a sedere dai due armadi che da dietro il presidente avevano fatto un piccolo balzo portando le mani possenti sulle spalle del dottorino che ora sedeva tra i due colossi ansimando.
“…validi” continuò il presidente come niente fosse “e tutti sono giunti alla stessa conclusione: serve una prova su un cervello umano!”.  Il dottor Makamoto strabuzzò gli occhi “ma come umano? ma ha visto cosa succede?” Chiese indicando la pila di scimmie morte nel secchio. Si voltarono tutti, anche la dottoressa Furima che prese un’altra banana dal cassetto.
Il dottore riprese: “Non è che non ci abbia pensato ma, ogni volta che provo a svegliare il soggetto o questo si sveglia da solo magari per una forte emozione, il cervello non regge! Che siano topi, gatti o scimmie. E non vedo come questo possa essere diverso provando con un cervello umano… occorrono altri esperimenti altre prove” il tono del dottore era sommesso.
“A noi interessa enormemente il suo parere” disse il presidente “ma deve capire, qui ci sta in gioco molto e non si parla solo di soldi, naturalmente. Si parla di POTERE” il presidente scandì la parola con premura fissando il plico di fogli che aveva sul tavolo e continuò “E, sì, lei sarà anche il migliore nel suo campo, ma abbiamo chiesto altri pareri e tutti concordano che o si fa un passo VERAMENTE OLTRE… o qui non si cava un ragno dal buco…io non sono un uomo di scienza come Lei, dottore, e cosa va o cosa non va io non lo so” si accese una sigaretta “mi affido!” Fece una profonda boccata: “e se mi dicono che così si potrebbe ottenere un risultato, se mi dicono” indicando le carte sulla scrivania “che serve un cervello umano, io mi affido e ci credo. Insomma mica si può interrompere qui una ricerca del genere, no? E poi, diciamolo, lei ha preso un adeguatissimo anticipo per il suo tempo speso qui” sputò una grossa nuvola di fumo che avvolse entrambi “e non è poi il fine della sua ricerca quello di farci guadagnare tempo?” un ghigno accompagnava la risata grassa frammista a tosse del presidente Drof che, adesso, fissava il dottore.
“Ma quindi cosa volete, che prenda un qualsiasi barbone, una cavia che si presti? Ma immaginate lo scandalo se poi si venisse a sapere! Altro che investitori insoddisfatti altro che soldi sprecati… a me dell’etica frega poco, sia ben chiaro, ma se poi il mio marchingegno non si potesse vendere che ce ne facciamo?”
“Ma no, dottore, no, conveniamo con lei che ci saboteremmo da soli se questa cosa fosse resa pubblica, se si scoprissero esperimenti del genere su esseri umani” con la coda dell’occhio indicò nuovamente il secchio. “Impiegare un uomo qualsiasi per questo tipo di ricerca!” il presidente sghignazzava, la pappagorgia ballava sul suo colletto e tutta la cenere cadeva per terra bruciando e macchiando il tappeto.
“No, non un uomo qualsiasi ma lei! Lei è l’uomo!”. I due bodyguard si strinsero ai fianchi del dottore che deglutì sonoramente, il sudore colava dividendogli i capelli in spesse ciocche sulla fronte. Il presidente continuò: “Pensi che effetto per l’opinione pubblica se proprio l’ideatore della ricerca s’ immolasse per permettere di valutare i dati in maniera corretta per il bene della scienza! Pensi che effetto! E poi, non è detto che finisca come le sue scimmiette dottor Makamoto un po’di ottimismo! Non sa che ormai è comprovato che l’atteggiamento di chi osserva un esperimento influisce sull’esperimento stesso? Ci creda, ci creda, ci creda insomma!”

Le parole del presidente lo colpivano come pietre sulle tempie, gli si ingrossavano le vene di nuovo mentre gli occhi sembrava volessero schizzare fuori dalle orbite. Cominciò una brevissima lotta contro gli energumeni che lo trascinavano al tavolo legandolo e stendendolo contro la sua volontà. Il suo sguardo virò sulla dottoressa Furima, che continuava impassibile a mangiare banane a pochi metri da lui. Poi la vide prendere la valigetta in pelle di canguro in cui conservava i suoi strumenti tra cui il suo bisturi preferito. E mentre cercava invano di urlare qualcosa, una supplica, un aiuto senza voce a causa della gola chiusa, con la bava che gli colava sul mento ecco in quell’istante cominciò a notare per la prima volta che la pelle della dottoressa ricordava una peluria morbida e le mani avevano un qualcosa di innaturale mentre sbucciavano l’ennesima banana. La vide lasciar cadere la buccia di banana ai suoi piedi e tirare fuori da quella valigetta gli arnesi da lavoro e, sempre in quell’istante, la dottoressa si voltò a guardarlo come non lo aveva mai guardato prima, con degli occhi che lo pugnalavano decine e decine di volte, dentro nelle viscere e non la trovò più così bella come la ricordava ma…aspetta. L’ aveva mai ricordata? Aveva mai avuto un’assistente lui? Un brivido gelido lo trapassò mentre il suo cervello gli ripeteva che NO, NON AVEVA MAI AVUTO UN’ASSISTENTE ORA CHE CI PENSAVA! E proprio mentre ci pensava, vide la dottoressa Furima aggrapparsi al mobiletto dell’archivio con le sue zampe come una scimmietta, una delle tante buttate con stizza nel cassone dei rifiuti biologici. Con un salto arrivò fino al tavolo operatorio, e il dottore ebbe giusto il tempo per rendersi conto di stava sognando mentre la vedeva chiaramente trasmutarsi in un primate. Anche gli energumeni e lo stesso presidente si erano fatti più vicini, lo circondavano fissandolo con lo stesso sguardo tremendo. Prima di cominciare la dottoressa Furima passò a tutti una banana come fossero dei pop corn per godersi lo spettacolo, alzò il braccio con il bisturi al cielo pronta a sferrare un colpo mortale. Poi ci fu solo uno ZOT.

“L’abbiamo trovato cosi signor Drof” disse l’agente di servizio Malkemann porgendo le foto al presidente: un uomo steso su un tavolo da laboratorio collegato con dei fili che partivano dalla testa al suo marchingegno.

Lo studio a soqquadro, addirittura un principio di incendio domato che però aveva intaccato in maniera irreversibile l’archivio del dottore.

“Sappiamo se ha fatto tutto da solo? Se c’era qualcuno con lui?”

“No, presidente lo escludiamo, entrare da una finestra al cinquantaseiesimo piano sarebbe impossibile per chiunque. La porta invece era chiusa dall’interno, anche se non abbiamo i filmati le telecamere sono state staccate a morsi, sembrerebbe…”

“A morsi?”

“Si a morsi.”

“Che spreco” si rammaricò ad alta voce il presidente “cosa gli era venuto in mente? Tutti gli studi mostravano che provarlo su un cervello umano era follia, cosa pensava di fare quel cretino?” il presidente Drof lanciò le foto sulla sua scrivania, continuava a scuotere la testa. “E delle scimmie invece che mi dite?”

“Ancora niente signore” continuò l’agente “ma sa… io non ci conterei nel ritrovarle: quando siamo entrati abbiamo trovato le gabbie e le finestre spalancate…”